Salto | 21 - Il Diario

18.10.2021

Credo sia opportuno iniziare questo Diario del Salone Internazionale del Libro di Torino | 2021 con qualche dato e qualche data.

I quattro padiglioni del Lingotto (per un totale di ben 18.000 mq), in questa nuova edizione rinascimentale del SalTo|21 hanno ospitato - dal 14 al 18 ottobre - all'incirca 150.000 visitatori, con un evidente e incoraggiante "abbassamento" dell'età media, in gran parte giovani o giovanissimi. Dato già di per sé sufficiente a far gioire se pensiamo che, nonostante tutte le difficoltà organizzative dovute al controllo post-pandemico, il numero di presenze è nettamente superiore alle precedenti (peraltro già fortunate) edizioni.

Ma continuiamo con i numeri: al Salone ha lavorato uno staff di 90 persone e 200 volontari che - con la consueta gentilezza e disponibilità - hanno permesso un regolare svolgimento degli eventi e dell'accoglienza dei visitatori. Gli scatti fotografici sono stati ben 40.000 e oltre 3.500 le pagine di rassegna stampa create nei giorni del Salone; 320 i passaggi nelle radio e nelle televisioni nazionali.

Sbalorditivi anche i dati delle vendite dei libri, come hanno riferito gli editori presenti al Salone: Add editore e E/O hanno registrato un aumento delle vendite del 50% rispetto al 2019; HarperCollins un +25%; il Gruppo Mondadori un +30%; MarcosyMarcosun +30%; minimum fax un +18%; NN Editore un +40% e Sellerio un +35%, solo per fare qualche esempio e qualche nome.

Potrei continuare all'infinito con altri numeri e complimenti, che sarebbero doverosi per questa edizione rinascimentale del Salto|21, ma per motivi di spazio devo fermarmi qui: prima di entrare nel merito, però, un doveroso plauso va indirizzato all'impeccabile lavoro del Direttore Nicola Lagioia, per il suo coraggio nell'affrontare - con ottimi risultati - una sfida che altri professionisti del settore avrebbero elegantemente delegato ad altri, e all'ufficio stampa curato dalla Babel Agency, con professionalità e minuziosa cura dei dettagli.

Poi ci sono state le sbavature del Salone, quelle che i soliti contestatori hanno innalzato con i loro tristi calici per sottolineare che il Salone ha avuto delle pecche. Le solite cose, per intenderci: l'hot dog era troppo freddo, la birra troppo calda, i libri troppo libri, i sorrisi troppo sorridenti, eccetera, eccetera. Ma delle sciocchezze preferisco non parlarne.

Descrivere tutte le giornate, gli eventi, gli autori, gli editori e l'altro vissuto di questa edizione rinascimentale del Salone, sarebbe impossibile. Mi limiterò a parlare di un paio di cose che mi hanno particolarmente colpito e che porterò via con me da questa edizione.

Ho vissuto i cinque giorni del Salone correndo qua e là tra i padiglioni del Lingotto, dividendomi tra gli stand degli editori, gli eventi e le chiacchiere con vecchi e nuovi amici, fino a perdere la voce.

In questo Diario, per motivi di tempo, di spazio e di linea editoriale, parlerò di teatro, di riviste letterarie, di libri, e di umorismo. Argomenti molto vicini all'AvanSpettacolo Letterario di ArteVaria.

La prima cosa, non in ordine di importanza, che porto via con me è Monica Capuani. Giornalista, traduttrice letteraria e teatrale, da sempre impegnata nello scouting e nella promozione teatrale, ha parlato a un pubblico - fortunatamente - di soli giovani di "Traduzione teatrale e scouting" in una lectio dai toni cordiali ma magistrali.

È difficile, parlando di Teatro, trovare la sincerità delle parole della Capuani, donna di rara eleganza di intelletto. Solitamente, sul teatro, il dibattito scivola consuetudinariamente verso discorsi compiaciuti o di protesta, sempre poco costruttivi, nei quali l'oratore non vuole prendersi la responsabilità di affermare che lo stato di salute del teatro italiano è ormai più vicino al coma che al risveglio.

Monica Capuani, al contrario, ha portato al Salone una voce fuori dal coro, denunciando il degrado culturale del teatro Italiano ormai relegato alle solite rappresentazioni dei classici, poco innovative e ancorate a vecchie e desuete traduzioni.

Il futuro del teatro, per la Capuani, non può prescindere dall'investimento sulle nuove drammaturgie e sulle ritraduzioni dei testi classici, come avviene da molto tempo nella cultura scenica anglosassone.

Il testo teatrale, come ha sottolineato giustamente la Capuani, è un testo letterario incompleto che - a differenza del romanzo - deve incontrare i corpi degli attori, la direzione del regista e l'attenzione del pubblico per prendere vita. Apro una parentesi: in Italia, aimè, non esiste un'editoria teatrale che pubblica drammaturgie. E questo la dice lunga! Chiusa la parentesi.

Il testo teatrale incompleto, in molti sistemi teatrali internazionali, soprattutto in quello anglosassone, viene redatto seguendo un percorso ben definito decisamente lontano dal nostro sistema teatrale: l'autore, infatti, scrive la prima stesura del testo, la c.d. "first draft"; successivamente lo stesso autore, ed eventualmente il traduttore (nel caso di traduzioni letterarie teatrali per l'estero), partecipano alle prove di quel testo sul palcoscenico: con la voce e la sapienza degli attori, poi, quel testo subirà diverse riscritture fino alle prime rappresentazioni pubbliche. Per intenderci: la stampa e la critica non possono scrivere la recensione sugli spettacoli prima dell'ultimo draft ufficiale. Per dire!

Il sistema teatrale italiano, invece, è un sistema chiuso dove il ruolo dell'autore è totalmente marginale. Un sistema carente nella lettura dei copioni, nell'investimento e nello scouting di nuovi testi teatrali e nella ritraduzione dei testi classici (il teatro nazionale porta in scena rappresentazioni basate sulle stesse arcaiche traduzioni, lontane dal linguaggio moderno).

È bene ricordare che il teatro vive di linguaggio e che il linguaggio invecchia precocemente a svantaggio di un pubblico sempre meno numeroso e gravemente infastidito dalle dissonanze linguistiche del testo rappresentato.

La Capuani, denunciando la perseveranza di tali inadempienze, ha espresso comunque parole di conforto per il futuro del teatro italiano, invogliando il pubblico di giovani in sala a farsi avanti nella scrittura di nuove drammaturgie, suggerendo - simpaticamente, ma concretamente - di consegnare le nuove opere agli attori, definiti arieti, in grado di aprire le pesanti porte del teatro italiano a drammaturgie inedite e nuovi autori.

La seconda cosa che porto via con me è un Editore.

Premetto che il target editoriale di tutti gli editori presenti al Salone è stato di altissimo livello, dal piccolo editore indipendente fino alle grandi major. Sellerio, però, mi ha lasciato quel profumo di garbo siciliano che è difficile non avvertire. Sorrisi, gentilezza, accoglienza e un mare di letteratura azzurra come le coste mediterranee, hanno invaso i miei cinque sensi ormai perduti inesorabilmente nel richiamo delle sirene letterarie della storica casa editrice palermitana.

Istituzione (non semplice Casa Editrice) orgogliosamente Italiana, Sellerio ha esposto i suoi corposi titoli in uno stand che sembrava cucito su misura per le parole scritte e stampate su quella carta ricercata e delicata, che sa di letteratura e nostalgia.

Potrei scrivere un intero trattato per parlare della Sellerio, dei suoi libri, dei suoi font, della sua deliziosa carta Fabriano, dei suoi autori, delle sue copertine, del suo taglio eccetera, eccetera. Potrei spendere interi stipendi per acquistare quei volumi di interminabile bellezza. In questo Diario, tuttavia, devo limitarmi all'essenziale: confesserò quindi che dalla mia lunga visita allo stand Sellerio ho portato via con me due deliziosi volumetti sulla letteratura musicale. Il primo, Giuseppe Verdi. Note e noterelle, di Max Bruschi, è un'interessante narrazione su alcuni aspetti della vita, umana e musicale, e delle opere dello stendhaliano musicista. Il secondo, Il pianoforte e i suoi virtuosi. Liszt, Chopin, Tausing, Henselt, di Wilhelm von Lenz, di taglio più dottrinale, ma con un'eccellente e pesata narrazione in forma di racconto, descrive la genialità di cinque grandi "virtuosi" e la rivoluzione del pianoforte nel mondo della musica.

La terza cosa che porto via con me è un piacevole incontro con la rivista letteraria Crack. Rivista Letteraria gratuita - e cartacea - nata dalla passione di alcuni amici (Manuela Barban, Giorgio Ghibaudo, Andrea Ciardo per citarne solo alcuni), tutti lettori forti, senza velleità economiche (il che permette alla rivista di mantenere un'indipendenza totale nel mondo editoriale).

Manuela, come selezionate i racconti da pubblicare?

Vogliamo accontentare un po' tutti i gusti del lettore. Ogni numero è un numero a sé, dove si possono trovare racconti di vario genere, dal drammatico all'umoristico, per rendere divertente e appassionante la lettura.

Qual è il vostro lettore ideale?

Il lettore ideale della nostra rivista è un lettore che quando chiude la rivista ha trovato un racconto che gli è piaciuto tantissimo e uno che gli ha fatto tanto cagare: perché vuol dire che siamo riusciti a mantenere le forbici molto aperte. La qualità della scrittura, ovviamente, anche nel racconto che ha fatto cagare al lettore, dev'essere comunque sempre molto alta.

Quali sono i parametri che adottate per la selezione dei racconti ricevuti?

Siamo aiutati da un grande gruppo di lettori. C'è un foglio excel condiviso dove ognuno di noi da un voto, da zero a dieci, su tre aspetti del racconto che ha letto: la trama, la qualità della scrittura e la "pancia", ossia il non tangibile, la quantità di emozioni e quell'altra roba lì. Si fa la media, la redazione si riunisce e seleziona i racconti che hanno raggiunto la sufficienza. Infine scegliamo quelli che hanno convinto più o meno tutti o sui quali vale la pena lavorare insieme per smussare gli angoli.

Cosa ne pensi delle riviste letterarie di oggi, sono ancora così importanti nella scena editoriale?

Abbiamo poco tempo per guardarci in giro, ma posso dirti che ce ne sono tante e anche molto interessanti. Il bello delle riviste letterarie di oggi è che si possono fare a costo zero, sempre che non le si voglia stampare come facciamo noi. Ci vuole molto entusiasmo e c'è spazio per tutti. Sono delle buone palestre per gli esordienti, per capire se quello che scrivono ha un senso, per avere un giudizio, ricordandoci sempre che il giudizio è sull'opera e mai sulla persona. La rivista letteraria, poi, è un piccolo faro per gli editori: ci è capitato qualche volta di avere degli esordienti che hanno pubblicato sulla nostra rivista un racconto, da perfetti sconosciuti, e poi magari hanno pubblicato per Einaudi.

Cosa ne pensi del dopo, ossia dell'Editoria contemporanea?

L'editore è un imprenditore: ha le logiche - giuste - del mercato, che lo vincolano a stare in determinati binari. Un editore può permettersi il lusso di pubblicare qualcosa che gli piace, ma che sa che non venderà molto (o niente!), solo un paio di volte all'anno. Poi, se vuole stare in piedi, deve fare in modo che i conti a fine anno tornino. Diciamo che l'editore non è in competizione con le riviste letterarie, perché ha finalità - ovviamente - diverse.

Nel futuro di Crack c'è l'editoria?

Adesso no. Non abbiamo gli strumenti per passare alla categoria degli editori. Abbiamo famiglia e non possiamo dilapidare le poche risorse che abbiamo! Ci piace collaborare con altri satelliti editoriali, ma per ora l'editoria non è nel nostro futuro.

A proposito di futuro: come vedi l'editoria futura? Torneremo al racconto?

L'essere umano avrà sempre bisogno di storie, quindi ci sarà sempre l'editoria. Il racconto forse assomiglia di più alla vita quotidiana, alla frenesia del mondo d'oggi e alla velocità che caratterizza questo nuovo secolo. Ma ricordiamoci che la qualità letteraria è sempre alta anche nei racconti, non solo nei romanzi.

L'umorismo in Crack?

L'umorismo è molto faticoso. È difficile trovare autori che riescono a trovare l'equilibrio comico senza cadere nella macchietta. Diciamo che tra i racconti ricevuti, solo uno su dieci ci riesce. Il resto sono grandi tragedie, più che testi comici!

Dopo la nostra conversazione, per la cronaca, Manuela mi ha regalato un lecca-lecca di Crack che conserverò a vita da tanto è bello!

La quarta e ultima cosa, ma ne potrei elencare almeno altre cento come ho già detto, che porto via con me è un appuntamento, la presentazione della meravigliosa collana "Stand Up" della Solferino, diretta da Gino e Michele.

Per l'occasione sul palco sono saliti i miei miti di sempre: Carlo Turati, Gene Gnocchi, Paolo Rossi, Antonio Ornano, Giovanna Donini - Andrea Midena e, appunto, Gino e Michele.

Carlo Turati, storico autore del Derby e dello Zelig, ha presentato il suo primo romanzo "La carezza della mantide" (di cui spero di parlarvi presto!); Gene Gnocchi il suo ultimo libro "Il gusto puffo"; Paolo Rossi la sua confessione (falsa!) "Meglio dal vivo che dal morto"; Antonio Ornano il suo libro "Niente da perdere" e Giovanna Donini - Andrea Midena il loro romanzo "Ti lascio per riprendermi".

L'evento è stato un'importante lezione di comicità, oltre a un momento di estasi letteraria e creativa. Un'occasione rara per apprendere dai più grandi esponenti della comicità (non soltanto!) italiana presenti sul palcoscenico, la naturalezza del mestiere comico, costruito con anni di gavetta, di studio e di esperienza.

Gino e Michele (che non hanno bisogno di presentazioni), oltre a presentare i volumi della collana stand up, hanno regolato il traffico delle battute dei maestri dell'arte comica presenti sul palcoscenico, a suon di risate e ricordi.

Al termine dell'evento ho fatto due chiacchiere con Michele (o era Gino?) a proposito di comicità.

L'umorismo, nonostante gli anni, continua e essere considerata una letteratura minore. Ne verremo mai fuori da questa ignoranza letteraria secondo te?

Forse è una roba provinciale dei nostri intellettuali e, anche parzialmente, della nostra editoria. Pensano che far ridere la gente sia una cosa, non dico di cui vergognarsi, ma comunque da tenere un po' in disparte; pensano sia molto più alta la qualità delle cose che si dicono o si scrivono se fanno piangere o se prendono troppo sul serio la vita, piuttosto che quelle che strappano un sorriso. In realtà far ridere è una cosa molto difficile, e far ridere dicendo delle cose intelligenti - non basandosi sui soliti stereotipi della comicità, ma cercando di tenere un livello alto - è ancora più difficile.

Forse pensano alla comicità come a una forma banale di intrattenimento?

Guarda, io non mi vergogno né della comicità chiamiamola "alta" o "intellettuale" né dell'intrattenimento. C'è posto per tutti. Certo, anche nella comicità ci sono livelli e approcci diversi. Però il concetto di fondo è che, come ho sempre pensato, all'umanità ha fatto più bene Woody Allen piuttosto che certi scienziati. La straordinarietà di certi autori che ci hanno fatto ridere è una cosa di cui bisogna necessariamente tenere conto, perché la vita è fatta anche di queste cose.

È per questo che l'editoria pubblica pochissimi libri comici?

Sì, c'è questa tendenza a considerare i libri comici come libri di serie B. È una tendenza soprattutto della seconda metà del novecento e degli anni duemila; prima c'era un'attenzione maggiore. Io sono cresciuto con mio padre che mi proponeva "Il giornalino di Gian Burrasca" o "Tre uomini in barca"; libri che col tempo sono stai dimenticati. Gli intellettuali, ovviamente, non potevano scrivere che quei libri erano libri di serie B: però potevano "dimenticarli".

Adesso, dopo il lavoro che è stato fatto anche da noi per rilanciare l'editoria umoristica, comica e anche satirica, ci sono spazi maggiori e maggiore attenzione. È anche vero, però, che si va a periodi: ci sono periodi in cui il comico è più al centro della cultura e periodi in cui il comico è un elemento marginale. Dipende altresì dal livello della qualità comica: se un comico propone una cosa molto forte, stai certo che prima o poi la comicità salta fuori.

A proposito di scrittura: ho sempre pensato che il gene della comicità sia innato. Sbaglio?

Esatto! No, non sbagli. Se hai la sensibilità di trovare il giusto equilibrio tra la facilità della risata e il contenuto, riesci a raggiungere quel Nirvana che ti permette di proporre cose intelligenti che fanno ridere.

*

Il mio SalTo | 21 si chiude così, senza voce, con i muscoli del viso contratti per le risate con gli amici, con le gambe stanche per aver corso da uno stand all'altro e da un evento all'altro, con tanti amici vecchi ma anche tanti amici nuovi, con nuovi libri da leggere infilati nella borsa, con un hotel di merda dove però ho passato notti meravigliose al chiaro di luna a scrivere questo breve Diario, e - soprattutto - con una prospettiva più aperta sul mondo.

ArteVaria | l'AvanSpettacolo Letterario di Giampiero Pomelli | 2020 | Tutti i diritti riservati.
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